#2

I boschi furono i più antichi santuari, molto precedenti alla costruzione dei templi in cui cercheremo di riprodurre una foresta di pietra. I boschi erano luoghi sacri, luoghi che non potevano essere in alcun modo alterati o si sarebbe incorsi in castighi o nella morte. In greco “nemos” indica una foresta in cui sono compresi i pascoli, un boschetto e soprattutto un bosco sacro. In latino diventerà “nemus”, come il Nemus Diane, il bosco sacro di Nemi nell’area dei Castelli Romani. Nèmo in greco significa anche in disparte, isolare, abitare e occupare che corrisponde proprio al concetto del bosco sacro: uno spazio riservato protetto e occupato da un Dio. Nemesi è anche il nome di una divinità degli alberi, spesso più conosciuta con il nome di Ariastea, ninfa del Frassino e nutrice di Zeus. Già per i celti il bosco sacro era il “nemeton”, dalla stessa radice della parola greca. Nello studio della lingua dei Celti, “nem-” indica una porzione di cielo, ma inteso come luogo sede del divino, in questo senso il “nemeton” è la proiezione di una porzione di cielo sulla terra. Un “paradiso terrestre” diranno i cristiani. Paradiso in cui gli alberi sacri costituiranno un “frutteto meraviglioso”, i cui frutti, il pomo, la nostra cultura cristiano-cattolica ben conosce (e la mela poco c’entra se non come iconografia, canone rappresentativo – d’altronde di mela non si parla in nessun testo sacro).

Grattare la superficie per riportare alla luce le radici, le nostre radici più antiche. Le radici di popoli che hanno rispettato la natura come elemento sacro e divino. Se non riportiamo da qui la storia dell’umanità è già drammaticamente volta alla fine.