Le erbe delle streghe nel medioevo – Rosella Omicciolo Valentini
«Dalla pubblicazione nel 1862 della Sourcière di Jules Michelet e soprattutto all’indomani della rivalutazione di questo studioso “anomalo”, che conobbe una lunga fase di oscuramento in età positivista, ci si è spogliati, benché faticosamente e peraltro non del tutto, dallo stereotipo che vedeva la strega come una figura inquietante e ingombrante, dedita a pratiche malefiche, strumento del demonio. […] Nella riabilitazione di questa figura al primo posto emerge lo studio delle erbe, che sono patrimonio dell’universo femminile, ma in particolare delle streghe, con le quali le donne sono state spesso identificate, se non altro perché dal peccato della mela in poi hanno detenuto il patrimonio domestico del cibo e della cura del corpo, dall’atto del concepimento all’ultimo addio.
Ne è derivato, anche se non di rado distorto e dozzinale, il successo editoriale che in tempi recenti hanno avuto e continuano a detenere le opere della medichessa bizantina Metrodora, della magistra salernitana Trotula de Ruggiero, della profetessa renana Ildegarde di Bingen: tutte protese ad una gioiosa rivalutazione del corpo, sia maschile che femminile. Si tratta di un potere strategico ed immenso che ha creato tra uomo e donna una sorta di “attrazione armata”, tra i cui risultati più drammatici va appunto annoverata la caccia alle streghe.» (Bruno Andreolli).